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08.03.2009
intervista ad una operatrice di comunità terapeutica
per conoscere le difficoltà del lavoro con soggetti tossicodipendenti e con comorbilità psichiatrica la fonte più autorevole son gli operatori stessi ed i loro utenti.

Intervista ad un operatore di comunità terapeutica con pazienti in doppiadiagnosi


Intervista a BARBARA, educatrice
Il mio titolo di studio è tecnico della riabilitazione psichiatrica.

D: Come mai hai deciso di lavorare in questo campo? Qual è il percorso che ti ha portato a questa scelta di studi e poi occupazionale?
R: È partita un po’ da un mio interesse personale verso discipline umanistiche, in particolare im-prontate alla psicologia.

D: Per cui questa strada non ti è stata per così dire imposta: cioè hai deciso tu, in base a delle esperienze… come mai questo interesse?
R: Per delle mie caratteristiche così, di persona, non mi è stata imposta, è una cosa che bene o male negli anni mi è sempre un po’ interessata. Mi piaceva l’idea comunque di fare un lavoro di questo tipo.

D: E come mai in ambito socio-sanitario e non in un altro settore, come mai proprio con i tos-sicodipendenti?
R: Come mai proprio con i tossicodipendenti, all’inizio è stato un po’il caso, nel senso che, appun-to, per il titolo di studio che ho io, il settore principale è proprio quello psichiatrico in cui lavorare, poi strutture e centri per pazienti psichiatrici sono sostanzialmente pubblici, per cui si entra tramite concorso, quindi non essendoci concorsi, mi sono un po’ guardata in giro e ho tentato quest’espe-rienza. Quindi in partenza non c’era l’idea di lavorare sostanzialmente con i tossicodipendenti: mi è capitato, cioè, l’inizio è stato questo.

D: Quindi era una tua esigenza personale il voler fare qualcosa per gli altri, piuttosto che, non so, “voler cambiare il mondo”?
R: No…, non penso di cambiare il mondo, penso che ogni persona abbia comunque delle potenzia-lità.

D: Relativamente a quest’ambito, per cui a questa comunità, come si inserisce l’educatore, l’operatore, che ruoli ha, che funzioni ha, che azioni deve compiere?
R: Cosa fa l’educatore in comunità?
Sì.
Tante le funzioni che l’educatore svolge in comunità: esiste la funzione di controllo, anche un po’ legata proprio alla psicologia dei pazienti, tossicodipendenti, alcolisti, per cui la funzione di control-lo e di contenimento è un po’, se vuoi, anche il punto di partenza affinché possa esserci poi un lavo-ro un po’più personale, individualizzato. L’educatore svolge una funzione, proprio per quanto ri-guarda aspetti più comportamentali, proprio tramite l’osservazione, magari anche di indirizzare, di portare un cambiamento anche proprio a livello di comportamento, e inoltre anche la funzione di ascolto, di contenimento, anche emotivo rispetto a quelli che sono vissuti delle persone.

D: E quindi le azioni che l’educatore è portato e tenuto a fare sono …
R: Qualsiasi cosa, se tu guardi è proprio una dimensione di vita, ma anche di relazione che si instau-ra proprio partendo magari dall’osservazione, quella di intervenire quando è il caso, di cogliere an-che degli aspetti più caratteristici di quella persona e del suo modo di relazionarsi con gli altri. Alla fine è anche proprio in comunità che hai modo di vedere la persona, nello stare con gli altri, nel re-lazionarsi all’interno di un gruppo e anche un po’ si vedono le difficoltà di fondo.

D: Quindi praticamente se non ho capito male voi seguite i pazienti e li accompagnate nel loro percorso. E una curiosità che ho io: le azioni invece un po’più pratiche…
R: Fare questo significa comunque anche dare un’impostazione, dare proprio una struttura alla gior-nata: può essere l’organizzare la giornata, il controllare che venga fatto quello che si è deciso per la giornata e come viene fatto, intervenire quando questo non viene rispettato, attraverso l’osservazio-ne della dinamica di gruppo che si instaura anche intervenire quando è il caso di farlo, fino a arriva-re a livello anche un po’ più pratico, a decisioni rispetto al gruppo, piuttosto che alla persona.

D: Quindi dare delle regole e fare in modo che queste regole vengano rispettate nel rispetto di tutti? E quindi l’operatore che tipo di persona deve essere?
R: Innanzitutto deve essere chiara nel porsi nel rispetto del gruppo, però questo non significa neces-sariamente che sia indispensabile una rigidità estrema… cioè, fermo restando delle regole base, poi comunque si valuta a seconda delle persone e delle situazioni per cui si possono attuare dei provve-dimenti per una persona proprio diversi da quelli che si fanno per l’altra, l’importante è che la figura dell’educatore sia chiara e… neutra forse è un po’ troppo da dire, comunque.

D: Invece più personalmente per quanto riguarda il rapporto con il tuo sapere, per cui quello che hai studiato, ti è utile, è legato all’attività che svolgi qui oppure è necessario che tu debba ripensare o hai già ripensato qualche assunto con cui partivi?
R: Beh, sicuramente si deve avere di fondo delle conoscenze, anche se le mie sono indirizzate un po’ più al campo psichiatrico, poi bisogna vedere. Conoscenze sono quello che ti permette anche di leggere i fatti, i dati, i comportamenti, piuttosto cha la realtà più oggettiva di una persona, per cui, sapere che per delle caratteristiche proprio della personalità una persona tenda ad avere un certo ti-po di comportamento, quello un po’ ti guida anche nel fare poi il tuo lavoro, per partire dal sapere dei dati concreti e da questi formulare anche un progetto possibile, altrimenti facciamo delle cose che restano un po’ irrealizzate. Cioè noi teniamo conto della reale problematicità di ogni persona, per cui le conoscenze ti servono proprio a questo, a valutare anche il quadro di una persona, su que-sta l’esperienza di tutti i giorni che questo ti fa ti porterà a un ambito di …. Quindi serve un po’ co-me schema per cui leggere le cose.

D: Ed essendo all’interno di quest’esperienza c’è qualcosa che invece trovi che sia più slegato, che hai dovuto rivedere, ripensare?
R: Ma sicuramente per esempio ho un po’ fatto delle considerazioni anche in équipe un po’ più spe-cifiche rispetto alla tipologia di persone di cui ci occupiamo, quindi sugli atteggiamenti mentali che un po’ caratterizzano i pazienti che noi abbiamo qua.

D: Tu come ti poni rispetto alle esigenze di questo lavoro? Cioè rispetto a tutte le cose che mi hai detto prima che deve fare un educatore, o comunque una persona che lavora in quest’am-bito? Tu ci stai dentro bene, hai delle fatiche, ti piace, lo faresti per tutta la vita? Come ti ci vedi in questo ruolo?
R: La fatica c’è, perché comunque hai a che fare con persone, persone problematiche che comunque dietro si portano anche un certo carico, un vissuto non bello e tante esperienze comunque lasciano un po’ spenti. Sicuramente non dico che sia facile quando entri e anche poi quando ingaggi una re-lazione, perché ci sono i presupposti per farla quando un paziente magari arriva anche ad aprirsi un pochino di più e senti anche proprio il carico emotivo di queste cose.

D: E rispetto ai pazienti come ti poni?
R: Credo che sia importante, come dicevo prima, che la mia figura sia chiara, che quindi non si ge-nerino situazioni per cui comunque far rispettare le regole non significa che poi non ci sia anche lo spazio per colloqui e confronti meno formali e strutturati: questo perché è un lavoro che ti chiede anche una flessibilità come persona, non tanto nel saper fare, ma che c’è, che sia disposta ad ascol-tarli, che ci sia questo messaggio. È un ruolo comunque anche di controllo, che è importante.

D: Una curiosità: il fatto che tu sia donna in una comunità maschile ti ha creato difficoltà, op-pure ha fatto in modo che tu venissi meno ascoltata o invece ti sei sempre trovata come un o-peratore maschio?
R: Io non ho avuto problemi, soprattutto all’inizio, ma comunque devi un po’ importi, tra virgolette, nel senso che gli utenti cercano un po’ di tastare il terreno per vedere se riescono a ottener qualcosa. Io, anche sapendo questa cosa, ho puntato tanto su questo, anche se comunque mi attenevo scrupo-losamente a ogni regolamento che c’è, proprio per imporre il mio ruolo, poi sicuramente potrebbe essere la componente che la figura maschile è un po’ più temuta rispetto a…, questo un po’ può es-serci, ma non necessariamente poi il risultato è che io non venga ascoltata. Utilizzo altri strumenti rispetto al fattore che un mio collega maschio non debba neanche intervenire rispetto a certe cose perché non se lo permettono in partenza, per dire, questo un po’ può essere. Il fatto che io sia una femmina credo che evidentemente in una comunità solo maschile può generare magari quell’atten-zione particolare che io credo che abbia sia effetti positivi che effetti negativi, nel senso che, appun-to, magari essendo femmina si permettano qualche comunicazione di tipo affettivo, poi succede an-che che ci siano le “piccole invidie” tra di loro nel senso che un po’ questo cose prendono male e se succedono se ne parla un po’ nell’équipe.
D: Però non è più di tanto un handicap?
R: No.

D: E quindi la professione di educatore come la vivi? Sei soddisfatta, ti aspettavi qualcosa di diverso, sei delusa?
R: Credo che sia una professione sicuramente non statica e che richieda di mettere in campo anche delle risorse personali, che non vuol dire che uno impara dalla propria storia, nel senso che la sua vita si fa condizionare, quello no, comunque essere neutro. Però sicuramente è un lavoro che si basa anche proprio sulla relazione interpersonale che gli utenti instaurano. Questo un po’ deriva da un’osservazione e delle considerazioni che ho fatto durante il tempo che sono stata qua…. Credo che la relazione si realizzi molto spesso proprio quando si viene a creare anche un rapporto persona-le significativo con gli utenti e anche tra gli utenti, e poi soprattutto con l’équipe.

D: E quindi, se non ho capito male sei abbastanza soddisfatta?
R: Sì.

D: Per tirare un attimo le somme rispetto a questa professione, a questa realtà di servizio, quali sono a tuo parere le criticità, gli aspetti positivi, gli aspetti migliorabili, quelli proprio che non funzionano?
R: Lo stipendio, nel senso che credo che non riconosca la figura più di tanto: lo stipendio è una cosa concreta, che anche un po’ per il carico delle turnazioni e così non tiene un po’ conto. Ovviamente non è l’elemento decisivo, altrimenti uno non lo farebbe o lo farebbe per un po’, però.

D: Aspetti positivi? Da valorizzare?
R: Un po’ quello che ti ho detto fino ad adesso.

D: È comunque un lavoro che ti piace e ti appaga?
R: Sì, tenuto conto dei momenti un po’ più difficili, periodi particolari, però di fondo c’è questo.

Maurizio mattioni marchetti

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