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2023 gennaio
Si riparte
La pratica riflessiva è una componente dell’auto pedagogia che nell’intercedere con il Tu risuona come nella biologia oscillano in sintonia gli stati d’energia

Si riparte, dentro una cappa di notizie, giunte filtrate dal senso comune, il quale si mantiene in equilibrio tra la gente, nell’oscillazione emotiva polarizzata. Ritorno allo spazio intimo prima di iniziare ogni cosa, cercando di calmare la mente da i propri fantasmi prodotti dalla paura dell’ annientamento, un brusio ricorsivo dalla parte dell’orecchio destro. Manca solo la Befana nella sequenza delle feste per poi formalizzare la scrittura del nuovo anno, parola dopo parola in punta di piedi percorrendo la direzione temporale che data per scontata è il perno dell’esistenza e della fede dell’essere che nasce e muore in questo mondo fatto di cose. La scrittura avviene un po’ per caso, aspettando che una parola affiora ed in risonanza comincia a carambolare verso un’altra…credo che sia più una questione di suoni che di contenuti, è musica che si dipana su una linea melodica che equivale alla temporalità…dopodiché la verticalità armonica riporta il respiro verso l’infinità. La cura con cui ogni cosa ha un nome è il segno di quanto la parola sia determinate nella costruzione di una vita, ed è nella cura che dobbiamo insegnare le parole giuste per parlare a noi stessi…ed è nell’ avere cura dell’altro che dobbiamo usare parole che interrompono il rimuginio dannoso, altrimenti non saremmo nemmeno ascoltati, seppur nelle più elementari prescrizioni. La pratica riflessiva è una componente dell’auto pedagogia che nell’intercedere con il Tu risuona come nella biologia oscillano in sintonia gli stati d’energia. Sicuramente davanti alle nostre coscienze sono già rappresentati gli esempi a cui è possibile applicare il giusto mezzo, che rispetta l’essere ed il “buono filosofico” per la convivenza pacifica…ma di fatto si è scelto altro, e permane un mistero la scelta nichilista nella fede della volontà di potenza di trasformare ciò che è altro da sé. I pensieri in libertà rischiano di cadere fuori dal bordo, e per questo motivo risuonano un po’ stonati all’orecchio. Ma con una certa caparbietà si ripete la ritualità dello scrivere come esigenza ontologica, e nei vari piani dell’esperienza ritrovo i volti che mi sussurrano storie, in modo che ad ognuno resti un qualcosa di un qualcun’altro. Il gigante buono del quartiere si scontra con i soliti bulli che anonimi a loro stessi si qualificano per un ghigno beffardo e idiota che si imprime come un tatuaggio su i loro volti, già la carne dice tutto quel che c’è da sapere, il segreto è saperla guardare senza esser vista. Cerco di inoltrarmi nelle strade meno battute per assaporare il suono ancora squillante del nuovo, un vecchio vizio che a volte rende la quotidianità meno scontata. Guardando i particolari mentre si passeggia con il cane, i panorami si tingono di creativa novità, nel fondo dello sguardo appare il racconto della terra con i fili d’erba, le chiazze umide ad i piedi dei colonnati, con l’annusare dell’animale. Un risveglio inquieto per quell’ombra che segue ormai da parecchio, un presagio cupo che rimane nascosto nelle anse della vista o nei tuffi del cuore. A volte vorrei camminare oltre ma è praticamente impossibile lasciare indietro l’ombra di se stessi, nel vicolo cerco l’angolo migliore per lasciare un po’ del respiro che in eccesso scuote i polmoni, e vorrei passare oltre la materia che si ostina a tenermi inchiodato allo stare lì in piedi. Rivedo nel grigiore del giorno una luce fioca che compare a tratti oltre lo sbarramento delle nuvole, come un saluto che va e viene, portando con se un sentimento di rinascita che rimescola le viscere nella quotidiana routine. Ho aspettato il buio prima di riprendere a scrivere, oggi sono terrorizzato dal continuo fluttuare dell’abisso tra un passo a l’atro nel tremolìi dei muscoli contratti.

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