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luglio 2023
VERSO LA COSTRUZIONE DI UN PROGETTO COMUNE: IL COORDINATORE COME FILO ROSSO DELLA RETE. Di Naperotti Giulia
La mission di questo ente è quella di garantire un intervento che non abbia il focus sul sintomo ma sulla persona in ognuna delle dimensioni che la definiscono e caratterizzano.

Descrizione del contesto
Il servizio multidisciplinare integrato “SMI Broletto” è un servizio socio – sanitario accreditato gestito dalla Società Cooperativa Sociale Onlus “Famiglia Nuova”. Il servizio eroga prestazioni di tipo sociale e sanitario occupandosi di prevenzione, trattamento e riabilitazione di soggetti con problematiche di dipendenza da sostanze legali e illegali e altre dipendenze patologiche (es. gioco d’azzardo, slot machine, ecc.) e quanti siano coinvolti nella vita dell’utente (famigliari, amici, colleghi). La presa in carico dell’utenza prende in considerazione anche la rete di relazioni intorno all’ospite con particolare attenzione alla famiglia, intesa e vissuta come il nucleo di riferimento.1 La dimensione di cura si esplica infatti partendo dal presupposto che i riferimenti sani dell’ospite siano parte integrante del percorso di cura, in particolare per l’utenza giovane, che trova nel nucleo familiare e relazionale il luogo di nascita e crescita del proprio bagaglio educativo, valoriale e umano. La peculiarità di questo servizio è infatti l’aspetto di multidisciplinarietà e di integrazione che permettono una presa in carico globale dell’utenza adattando l’intervento ai bisogni portati dall’ospite e/o dal territorio.
La mission di questo ente è quella di garantire un intervento che non abbia il focus sul sintomo ma sulla persona in ognuna delle dimensioni che la definiscono e caratterizzano. In questi termini il tipo di intervento offerto garantisce una logica di accoglienza, diagnosi e presa in carico del paziente che si manifesta attraverso diverse proposte: definizione di progetti educativi individualizzati finalizzati all’impostazione di un intervento che risponda ai bisogni del singolo con le sue peculiarità, definizione ed erogazione di terapie farmacologiche specialistiche, attività di counseling psicologico ed educativo per utenti e famiglie, attività di orientamento e sostegno in ambito sociale ed educativo, mantenimento dei contatti con gli enti del territorio come parte del percorso di cura dell’utente.
Il servizio SMI Broletto è presente sul territorio lecchese in collaborazione con gli enti territoriali quali Comune di Lecco, Caritas, City Angels, comunità residenziali, centri diurni, associazioni di volontariato, scuole superiori, gruppi di auto-mutuo aiuto, ecc... La sua azione si interseca con le suddette realtà attraverso l’organizzazione di incontri preventivi, promozionali e riabilitativi orientati alla raccolta dei bisogni del territorio portati dall’utenza nei singoli enti e incontri specifici di formazione ed intervento finalizzati alla partecipazione a progettualità condivise. L’obiettivo collaborativo delle strutture si definisce quindi in un’azione cooperativa finalizzata ad una presa in carico globale delle varie problematiche riscontrate e alla definizione di un intervento specifico verso la conoscenza e conseguente azione per situazioni emergenti e in continua crescita. Inoltre, la multidisciplinarietà dell’equipe si definisce come corpo unico di intervento che, in una logica di fusione e continuo scambio tra le singole professionalità, permette di ottenere uno strumento flessibile e puntuale nella presa in carico delle persone e nella definizione dei progetti riabilitativi.
L’accesso al servizio si organizza in fasi con il fine di orientare il percorso e definirne i diversi momenti: le fasi di riferimento sono una fase iniziale di accesso al servizio, con conseguente ammissione e valutazione multifunzionale del bisogno per comprendere se la domanda d’aiuto portata è aderente alle proposte; una fase di valutazione multidisciplinare integrata in cui ogni professionista ha la possibilità di fare una valutazione globale del soggetto per area di intervento; la successiva definizione di una piano assistenziale individuale, il PAI, nel quale sono contenuti gli obiettivi da perseguire durante il trattamento e la realizzazione concreta di quest’ultimo con le attività proposte nel progetto; una finale fase di dimissione finalizzata alla chiusura di un programma terapeutico o di monitoraggio degli obiettivi raggiunti e del buon proseguimento degli stessi nella propria quotidianità fino alla definitiva uscita dal servizio.
La scelta di questo ente è avvenuta in modo autonomo partendo inizialmente da una riflessione sulle priorità: da un lato ricercavo un servizio situato in una posizione che mi agevolasse rispetto al lavoro e mi permettesse di far coesistere in modo funzionale entrambi gli impegni, dall’altra avevo la curiosità di indagare il ruolo del coordinatore pedagogico che fino a poco prima dell’inizio del tirocinio non riuscivo a definire rispetto alla figura di primo livello. Successivamente, la scelta dello SMI, arrivando da un’esperienza lavorativa in corso in una comunità terapeutico - riabilitativa per tossicodipendenti ed alcolisti, fin da subito mi ha permesso di riflettere sul “cambio di prospettiva e sull’opportunità di vestire nuovi panni” che mi potessero accompagnare e guidare verso la definizione di un secondo livello che necessitavo di descrivere e comprendere in modo puntuale facendo ordine tra le mie idee confuse di cosa significasse assumere il ruolo di coordinamento.
Domanda di ricerca
Il ruolo della figura di secondo livello nelle attività di coordinamento con i servizi della rete in risposta ai bisogni portati dal territorio di riferimento.
La domanda di ricerca è nata in modo molto naturale attraverso l’esperienza sul campo. Fin dai primi giorni, ho avuto la possibilità di presenziare ad alcuni incontri di coordinamento tra gli enti del territorio lecchese che mi hanno permesso di orientare lo sguardo verso una ricerca che tentasse di indagare il ruolo del coordinatore del servizio in cui ero inserita per comprenderne funzioni, posizioni, responsabilità e modalità di intervento. L’idea di partenza era quella di portare avanti un’indagine del ruolo attraverso l’osservazione delle funzioni ricoperte, le modalità e gli strumenti relazionali messi in atto nei momenti cooperativi, la partecipazione a momenti formativi e organizzativi delle attività/degli interventi, la consultazione della documentazione, la presenza ai colloqui di presa in carico e conseguenti proposte di intervento relative ai bisogni portati, l’osservazione della professionalità e degli strumenti di risposta utilizzati.
Attraverso il semplice vissuto quotidiano nel servizio, ho riscontrato la forza e l’invadenza di un territorio che portava richieste di progettualità, presentava fenomeni emergenti, proponeva domande che necessitavano di essere prese in considerazione in termini collettivi. Una delle questioni maggiormente trattate fa riferimento al problema sociale della marginalità in relazione alle vecchie e nuove dipendenze. L’apertura e la continua modifica di uno scenario sociale, che permette l’accesso alle sostanze e/o a tutte quelle situazioni di potenziale sviluppo di dipendenza patologica, ha infatti causato l’aumento di una popolazione con un vissuto dipendente e conseguentemente marginale, sempre più diffusa nel territorio. In altri termini, rispetto al passato, oggi la marginalità sociale diventa elemento cardine di comprensione e di intervento relativo a dipendenze che abbandonano lo stereotipo e l’etichetta del passato (in termini di età, ceto sociale, vissuto familiare) e causano l’aumento di persone che vivono la dipendenza come elemento necessario per alzare i livelli di performance e riuscire a sopravvivere nel vissuto societario contemporaneo. A partire da queste riflessioni, ho quindi avuto la possibilità di cogliere l’importanza del lavoro di rete, in grado di associare le competenze e coordinare le responsabilità verso un intervento condiviso orientato alla funzionale presa in carico in termini collettivi e non limitati all’intervento dei servizi come realtà a sé stanti. La cooperazione tra servizi permette di ampliare la visione, prendendo in considerazione dimensioni nuove, utili alla definizione di un intervento il più completo possibile. Il coordinamento e supporto della rete permettono inoltre un’azione condivisa in termini di mission e obiettivi.
Metodologia
Rispetto alla metodologia utilizzata, ho scelto di condurre una ricerca di tipo qualitativo che mi permettesse di raccogliere informazioni utili all’individuazione di una risposta alla domanda di ricerca da cui ero partita. La partecipazione, fin dai primi momenti, alle diverse occasioni di coordinamento e intervento tra gli enti della rete mi ha dato modo, in prima persona, di raccogliere informazioni importanti che orientassero il mio sguardo verso la domanda di ricerca e mi permettessero di individuare gli strumenti migliori per raggiungere l’obiettivo.
Strumenti per la raccolta dei dati
Nel dettaglio, per la raccolta dei dati mi sono servita dei seguenti strumenti:
Osservazione partecipante con successiva scrittura (ricerca etnografica): ho utilizzato questo strumento all’interno delle situazioni di coordinamento e confronto tra i servizi della rete come, ad esempio, durante la programmazione e successiva partecipazione a momenti preventivi con le scuole del territorio finalizzati alla conoscenza delle sostanze che creano dipendenze patologiche, momenti di riunione e confronto rispetto ai bisogni emergenti (es. senzatetto) con i singoli responsabili degli enti e valutazioni di progettualità ed interventi proposti e/o attuati dalle strutture, riunioni d'equipe con le diverse professionalità interne allo SMI, ecc…L'osservazione si è concentrata principalmente sulle competenze messe in atto dal coordinatore in ambito comunicativo, relazionale, formativo e sulle modalità di risposta alle proposte fatte e alle valutazioni dei bisogni emersi condivise tra gli enti rispetto alle questioni trattate. Successivamente l’osservazione si è spostata sulle progettualità messe in campo, sulla programmazione di interventi e sulla raccolta di dati successivi a questi momenti. Infine, ho utilizzato la scrittura, in particolare attraverso un “diario di bordo”, come strumento utile per tenere traccia di queste osservazioni e per la raccolta dei dati principali estrapolati dalle osservazioni e orientati ad una visione d’insieme che potesse invece orientare eventuali future progettualità.
Intervista al coordinatore del servizio: lo strumento dell’intervista è stato per me una modalità di confronto diretto con la figura di secondo livello e mi ha permesso di raccogliere e paragonare quanto avevo osservato con la visione di chi direttamente è stato coinvolto nel processo. L’intervista si è infatti articolata in termini graduali e “a imbuto” partendo da domande più generali su ruolo e funzioni occupate fino ad arrivare ad un focus specifico sulla professionalità in diretto contatto con altri enti, servizi e coordinatori verso la definizione di progettualità e risposte condivise. In questa occasione è emerso con forza il “problema sociale” del territorio e della rete dipendenze con conseguente frammentarietà e fatica nella risposta, attraverso gli interventi, al tema sociale. Inizialmente pensavo di proporre al coordinatore diversi momenti di intervista con il fine di valutare l’intero iter processuale; successivamente ho scelto, avendo anche avuto molti confronti informali con lo stesso coordinatore, di somministrare un’unica intervista al termine dell’esperienza che mi potesse dare una visione globale della questione, in una logica di confronto con le aspettative che mi ero creata.
Presa visione della documentazione del servizio: rispetto alla documentazione, ho visionato alcuni dei documenti correlati alla domanda di ricerca quali la carta dei servizi dell’ente, i passati progetti di collaborazione con le strutture, i bandi di riferimento da cui estrapolare informazioni relative a finalità, obiettivi, metodologia, strumenti, i piani annuali dell’ente che raccolgono gli obiettivi del singolo servizio rispetto alle direttive regionali e i verbali o i documenti riassuntivi degli incontri fatti. Ho avuto modo di consultare anche della documentazione risalente a qualche anno fa che faceva riferimento ad un gruppo di coordinamento, il Coodip, costruitosi tra gli enti della rete dipendenze e che aveva come obiettivo quello di intervenire sulle problematiche emergenti dal territorio attraverso attività formative, convegni, incontro tra le singole culture dei servizi che negli obiettivi proponeva attività di formazione dei professionisti e la costruzione di un percorso di cura condiviso.
Ho pensato che l’utilizzo di una metodologia ispirata alla ricerca etnografica, attraverso lo strumento dell’osservazione partecipante, abbia arricchito il lavoro attraverso la presenza e il vissuto delle varie situazioni in prima persona. La ricerca etnografica si pone infatti come obiettivo lo studio di un contesto e si organizza nelle fasi di accesso sul campo, osservazione partecipante sostenuta dalla stesura di note durante o successivamente all’osservazione e rielaborazione finale dei dati raccolti. Credo che l’elemento partecipativo permetta inoltre una conoscenza più approfondita e dia modo di cogliere dettagli specifici per un'analisi completa e puntuale. L’aspetto di partecipazione diretta, inoltre, credo mi abbia permesso di apportare alla ricerca un contributo importante in termini di sguardo, risorse e funzionalità.
Analisi dei dati raccolti
Successivamente alla raccolta, il processo d’indagine è continuato con l’ analisi dei dati. Mi sono concentrata sull’utilizzo di alcuni strumenti di codifica e analisi che ho ritenuto interessanti al lavoro. In primis ho utilizzato la tecnica della Grounded Theory – Analisi tematica del testo più fasi e livelli di codifica5: questa metodologia nasce intorno agli anni ’60 a Chicago come strumento d’analisi delle storie di vita. La Grounded Theory dà, infatti, l’occasione a chi analizza i dati di accostarsi al testo senza nessuna idea a priori: paragrafo per paragrafo vengono rilevati i temi emergenti per poi raggrupparli in aree tematiche. Per ogni area tematica viene poi identificata e nominata la categoria concettuale principale. Con riferimento alla mia analisi, ho utilizzato questo strumento per codificare le informazioni che avevo raccolto tramite l’intervista: successivamente alla copia del testo integrale registrato, ho ripreso le domande che avevo messo per iscritto come canovaccio che potesse guidare il lavoro e le ho riorganizzate, spostandone l’ordine, nelle diverse zone del testo in cui ritenevo potessi individuare la risposta corrispondente. Così, al termine del lavoro, mi sono trovata con il testo integrale, interrotto dalle domande, che identificavano le aree tematiche di riferimento e i concetti rilevanti per la mia ricerca.
Un altro strumento di particolare interesse e rilievo che ho utilizzato nel lavoro d’analisi è la Social Network Analysis: “Una rete sociale è una struttura formata da nodi (attori) e da legami che intercorrono tra di essi, come ad esempio l’amicizia, la collaborazione professionale o la parentela ecc. […] Dunque, nella SNA, per dato si intende l’elemento relazionale, e cioè le informazioni relative a una rete sociale composta da attori con i loro attributi, e i legami (link) tra i nodi. In altre parole, l’analisi delle reti sociali considera le relazioni sociali in un’ottica di network theory, utilizzando quindi algoritmi e strumenti di analisi della teoria dei grafi. Proprio per questo motivo le radici metodologiche della SNA sono da attribuire a Eulero e ai suoi celebri studi sui ponti di Königsberg. Successivamente, le prime analisi “sociali” furono condotte nell’Ottocento per gli scopi più vari: lo studio dell’interazione tra api, delle tribù nordamericane, della scomparsa dei cognomi e delle dinamiche della folla.”6 Questo strumento, che nasce in ambito matematico, viene successivamente applicato a diverse scienze sociali quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia, ecc. aprendo nuove prospettive di studio delle relazioni sociali. Rispetto alla mia ricerca, la SNA mi ha permesso di approfondire le relazioni tra i diversi enti della rete e comprendere il ruolo di scambio dei diversi link tra i nodi.
Risultati della ricerca
Dall’analisi dei dati raccolti, emerge con forza che una delle questioni che negli ultimi anni e ancora attualmente riguarda i diversi servizi, con particolare riferimento allo SMI, è quella legata alla marginalità sociale che nasce dal territorio di riferimento. Quest’ultima porta con sé, un aumento dell’utilizzo di sostanze in una fascia d’età e di ceto sociale che fatica nell’integrarsi con la restante popolazione sana. Inoltre, l’aumento della marginalità stessa ha causato anche delle aggravanti su altri fronti che hanno agevolato l’accesso alle sostanze e hanno fatto sì che queste non fossero più uno sfogo ma una possibilità altra di stare nella realtà.
La funzione del coordinatore nella rete
All’interno di questo scenario sociale, il coordinatore, per quanto emerge dalla mia analisi, si pone in una posizione di “ponte” tra i diversi servizi e le professionalità in essi presenti con il fine di connettere le competenze.
Il suo ruolo, che ho potuto definire attraverso l’osservazione, la consultazione della documentazione e l’intervista, è quello di presenziare ai momenti collettivi portando la visione dello SMI e facendo sì che questa si connetta con quella delle altre realtà territoriali. “Questi organismi sono: prima di tutto i Comuni con i suoi piani di zona, i settori del comune che sono quelli dei Servizi Sociali, c'è tutta la parte referente la Tutela Minori, c'è la parte della neuropsichiatria infantile, poi c'è la psichiatria adulta e ci sono tutti i vari organismi della ASST sul territorio che coordina tutti i servizi per cui si è dentro in questa forma di coordinamento.”7 Riunioni, incontri preventivi a tema, tavoli istituzionali e momenti di coordinamento delle competenze diventano così occasione per portare su un tavolo condiviso la visione del servizio: con riferimento ad un’utenza specifica l’obiettivo è quello di valutare quali attività i singoli enti possono proporre alla stessa utenza per rispondere al problema emerso. Essendo inoltre alcuni degli utenti in carico a più servizi contemporaneamente, la partecipazione a questi momenti è ciò che permette di coordinare gli interventi verso un obiettivo condiviso.
Nel suo ruolo di “ponte”, il coordinatore si occupa infatti anche di inviare gli utenti, previo contatto, ai servizi del territorio indicati per una presa in carico globale dell’ospite dove gli obiettivi, per essere raggiunti, necessitano di interventi specifici: i suddetti contatti possono inizialmente avvenire telefonicamente o attraverso colloqui e in seguito il coordinatore si occuperà di stilare una relazione e definire modalità, tempi e obiettivi da raggiungere rispetto agli accordi presi con il servizio preposto alla presa in carico.
Come è possibile osservare dalla rappresentazione grafica di seguito, quasi tutti gli enti sono collegati tra di loro ad indicare una vera e propria relazione di connessione e scambio orientata alla gestione e al trattamento di una tematica comune che interessa, seppur per area di competenza diversa, ognuno degli attori coinvolti. Lo SMI, che ho posto al centro, si relaziona infatti con tutti gli enti di riferimento per la raccolta dei dati riguardanti i bisogni e i fenomeni emergenti dal territorio con l’idea che questi vengano ascoltati e trattati dentro un sistema di scambio e interconnessione orientato ad un obiettivo comune. L’azione di un singolo servizio non può rimanere isolata ma influisce sulle altre e viceversa.
Intervista al coordinatore del servizio
Tuttavia in passato sono state attivate delle progettualità rispetto alla rete dipendenze, e non solo, che nel tempo sono andate purtroppo perdendosi a causa di un fenomeno ancora attualmente esistente: ogni ente, avendo la sua mission e vision del problema, propone e attua interventi che si orientino nella direzione indicata e percepita come funzionale al tentativo di risposta al problema stesso. Osservare la comunicazione tra i singoli servizi però mi ha dato modo di vedere la fatica dell’uscita dal proprio punto di vista con conseguente difficoltà nella partecipazione alla condivisione di strategie definendo varie risposte, ognuna buona per la possibile risoluzione del problema, ma allo stesso tempo a tratti povera di aspetti di collaborazione, ascolto e disposizione alla messa in discussione reciproca. Inoltre, con riferimento all’intervista effettuata al coordinatore del servizio e l’osservazione degli strumenti utilizzati per la presa in carico, ho riscontrato l’assenza della ricerca: quando un servizio, come lo SMI, rileva un bisogno in merito ad una particolare situazione, talvolta deve agire in termini di emergenzialità nel tentativo di individuare la risposta migliore nel qui ed ora. L’aspetto di prevenzione attraverso la ricerca, così come dichiarato dal coordinatore durante l’intervista, pare risulti complesso da integrare con una società e con problematiche che sembra corrano in un mondo accelerato per cui diventa quasi impossibile tenere il passo, senza dimenticare il tema dell’illegalità che accompagna l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti. Sarebbe quindi importante investire in termini di ricerca attraverso progettualità che possano anticipare i problemi o comunque affrontarli in tempi adatti in modo tale che i professionisti, in particolare il coordinatore, possano organizzare il proprio lavoro e rendere specifiche e puntuali le proprie azioni con l’utenza e tra i servizi. La visione di ogni ente relativa all’area di interesse, interconnessa con quella della rete territoriale, permetterebbe di avere una maggiore conoscenza del territorio e relativo monitoraggio delle questioni sociali e di condurre verso progettualità in grado di rispondere ad una complessità che va oltre il singolo. La definizione di un’architettura complessa è possibile attraverso la logica di condivisione, scambio e concretizzazione degli interventi supportati dalla ricerca e dalla necessità di sanare le spaccature costruitesi dalle singole mentalità verso una reale visione d’insieme. Per far sì che questo avvenga il punto di partenza sono le persone: i diversi coordinatori degli enti possono così sviluppare competenze specifiche orientate al raggiungimento dell’obiettivo. Il ruolo di “ponte” a cui facevo riferimento prima è funzionale attraverso il posizionamento di basi solide che permettano alla struttura di rimanere sospesa collegando i nodi della rete e facendo in modo che questi spazi diventino luoghi di scambio, comunicazione, relazione e condivisione. Gli stessi collegamenti rappresentano infatti le competenze di dialogo, collaborazione, ascolto, progettazione, supervisione, formazione e prevenzione che il coordinatore mette in atto nella propria professionalità tra i servizi del territorio. Ho osservato che gli enti si trovano sullo stesso territorio, con gli stessi bisogni e richieste: l’approccio multidisciplinare e il confronto attraverso i momenti di coordinamento e l’unione delle competenze di ogni professionalità definisce un’azione condivisa in grado di considerare e utilizzare uno sguardo nuovo ma, seppur faticoso, aperto al confronto. Il coordinatore diventa così uno degli anelli parte della catena di connessione in grado di creare un legame con tutti gli altri.
Le funzioni del coordinatore nel servizio
All’interno del servizio è possibile individuare diverse funzioni svolte dalla figura di secondo livello: funzioni di documentazione, funzioni di coordinamento e funzioni di supporto all’equipe.
Da un lato il coordinatore risponde a delle prassi necessariamente da seguire, relative a normative e legislazioni vigenti, in cui si occupa della stesura e condivisione di documenti di presa in carico, colloqui conoscitivi e contatti finalizzati ad un’iniziale conoscenza dell’utente, aggiornamento dei documenti gestionali, regolamenti, carta dei servizi e azioni connesse alle normative vigenti e alle possibili modifiche che queste hanno sul servizio stesso; dall’altro cerca di avvicinarsi maggiormente alle richieste del territorio ascoltando i bisogni portati dall’utenza e accogliendone quegli aspetti che non necessitano di burocratizzazione. In questo caso il coordinatore si occupa invece di gestire la presa in carico coordinando le competenze all’interno dello SMI, sottolineando gli aspetti critici e/o potenziali e avvicinandosi il più possibile al bisogno portato e alla sua eventuale evoluzione durante il percorso. L'attività di supporto è rivolta sia ai professionisti del servizio che sono coinvolti all’interno del percorso di cura tramite riunioni d'equipe e momenti di confronto e dialogo, che alla rete di persone di riferimento dell’ospite attraverso l’organizzazione di colloqui con tempi e modalità da concordare in base agli obiettivi con il coordinatore stesso.
Infine, ho avuto la fortuna e possibilità di partecipare a diverse occasioni di coordinamento, formazione e consulenza che mi hanno dato modo di osservare la pluralità di competenze necessarie per stare nel ruolo di secondo livello: la mediazione, l’ascolto, la disposizione a mettersi in discussione, l’organizzazione, la gestione di sé e degli altri anche quando le cose non procedono per il verso che ci si prospettava. Tutte queste competenze mi hanno fatto riflettere su come questo ruolo si costruisca dentro il vissuto quotidiano e lavorativo e si specializzi e affini attraverso la condivisione e la partecipazione durante gli anni.
Anche in quest’occasione, così come in altre durante il corso di studi, riporto di seguito una delle frasi che personalmente rappresenta al meglio il ruolo occupato dal coordinatore e che racchiude criticità e punti di forza della posizione di secondo livello: “un acrobata, sospeso a vari metri da terra, intento a gestire una incredibile mole di situazioni con il solo aiuto di una barra di equilibrio: metafora calzante di una serie di competenze e conoscenze consolidate dalla pratica, unico strumento per gestire la complessità.
Conclusioni e riflessioni sull’esperienza
Voglio terminare la mia riflessione in merito all’esperienza svolta utilizzando una parola che la possa raccontare: il termine “crescita”. Il percorso di tirocinio che ho svolto credo mi abbia in primo luogo permesso di mettermi in discussione rispetto ai timori e ad un vissuto di impreparazione che percepivo nei confronti del secondo livello. Inizialmente, parlare di secondo livello era per me qualcosa di molto teorico e difficilmente applicabile nella pratica: solo dopo aver vestito il nuovo abito che mi era richiesto dal tirocinio, ho invece compreso come lo scalino che dal primo mi poneva al livello superiore, rappresentasse una nuova visione delle cose. Temevo che il tirocinio in un ambiente, per utenza, simile al mio lavoro, potesse avere una sorta di effetto “fotocopia” andando a fare confusione sui ruoli ricoperti nell’uno e nell’altro servizio. In realtà, la postura che sono stata in grado di avere mi ha dato modo di osservare un’utenza molto simile per modalità ed atteggiamenti che richiedeva però un aiuto diverso da parte di una figura preposta alla raccolta del loro bisogno e alla costruzione di un intervento che poteva indirizzarsi in direzioni differenti.
Il lavoro di comunità presuppone una presenza sul campo che è orientata alla proposta della residenzialità e alle sue caratteristiche, mentre il lavoro ambulatoriale di presa in carico unito al ruolo di coordinamento con gli enti del territorio risponde ad un bisogno più ampio che esce dal singolo ed entra nel sistema. La logica di sistema è quella che tuttora accompagna la mia riflessione seppur alcuni degli aspetti osservati mi lascino con delle domande aperte. Durante il percorso ho infatti notato come il concetto di autoreferenzialità degli enti spesso, per i motivi più svariati, avesse il sopravvento sulla persona: mi sono chiesta più e più volte il motivo di questa chiusura in sé stessi e il vissuto di preoccupazione verso l’apertura. Una delle questioni che ho potuto osservare maggiormente, riguarda il timore di ogni singolo servizio di essere intaccato da qualcosa di esterno, diverso, complesso che è difficile integrare con approcci sicuri e funzionali in utilizzo da diversi anni. Credo allo stesso tempo che questa modalità, seppur comprensibile, vada a togliere qualcosa in termini di valore e funzionalità dell’intervento. La ricchezza dello scambio, della condivisione e della cooperazione, oltre che rispondere ad un bisogno del territorio che con invadenza bussa alla porta di ognuno, penso sia fondamentale per la cura dell’utenza e la definizione professionale del coordinatore. Inoltre, i feedback ricevuti dal coordinatore mi hanno permesso di sentirmi parte del servizio, seppur in un ruolo diverso, e riconosciuta in merito alle riflessioni e tematiche che abbiamo avuto modo di discutere e rendere oggetto della domanda di ricerca.
Posso dire di non aver trovato grandi criticità in merito al servizio in cui sono stata accolta che si è presentato come un’ottima occasione formativa, partecipativa e professionalizzante. Concludo con una riflessione, che mi lascia con un po’ di amaro in bocca: viviamo in una società in continua trasformazione e cambiamento che ci chiede ogni giorno di rincorrere questa accelerazione per cercare di individuare le risposte più adatte alle questioni sociali che ci vengono poste. Perché l’impressione è quella di staticità, poca disposizione all’evoluzione e al cambiamento? Forse per paura, per non rischiare di investire in qualcosa di sconosciuto che potrebbe risultare azzardato, forse per una staticità che immobilizza e non permette di migliorare. C’è una frase, che ho incontrato l’anno scorso in uno dei corsi svolti e che credo possa riassumere il mio pensiero, e forse, essere da stimolo ad un futuro un po’ diverso: “La vita funziona così. Nel corpo non ci sono gli opposti, la linearità, i contorni, la negazione, ma un divenire ciclico che tutto comprende, che genera forme e possibilità in costante cambiamento. La trasformazione, processo che contempla costruzione e distruzione, continuità e discontinuità, non riguarda gli esseri umani, ma è una qualità universale della vita e una componente essenziale del nostro apprendere. Nonostante quello che comunemente si crede e si fa, dunque, la trasformazione non ha bisogno del nostro intervento per accadere: essa avviene comunque, continuamente, ovunque ci sia vita.

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