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02.03.2009
la residenzialità è una strategia di cura
prendendo spunto dai maggiori autori sulle comunità terapeutiche,si evidenzia il concetto di residenzialità come strategia di cura.modello medico e modello psicoeducativo a confronto.

La residenzialità è una strategia curante
in cui la relazione terapeutica è calata nella quotidianità strutturante il soggetto, con le sue relazioni, le percezioni emotive e cognitive dello spazio, del tempo, degli oggetti e della propria percezione del corpo e della percezione dell’altro.
Essa è una dimensione domestica di reintegrazione con se stessi e con il mondo, la quotidianità come orizzonte risolutivo di catarsi per sciogliere tensioni e nodi problematici.
Stare insieme in comunità, portare “pesi”comuni e averne benefici comuni. Stare dentro ad una contrattazione quotidiana di “chi fa che cosa”. Costruire o ricostruire la trama familiare delle relazioni.
La vita in comunità innanzi tutto è fare con gli altri ancora prima di parlare con gli altri, la quotidianità permette un incontro immediato attraverso cose, oggetti e operazioni.
Luoghi familiari in cui rigiocare transigenze, contrattazioni, mediazioni e anche trasgressioni che altrove hanno risvolti drammatici e tragici.
I luoghi nella comunità
Spazio geografico e composizione costruzione della nostra visione di quello specifico spazio. La comunità come luogo da abitare dove le cose e le stanze acquisiscono un senso per le persone e accompagnano i gesti del vivere accogliendo le fatiche del dolore dell’essere.
I luoghi della comunità si modellano utopicamente per ogni persona nella ricerca di quella dimensione terapeutica ideale per intraprendere un percorso riabilitativo.
Comunità come palcoscenico per mettere in scena ed elaborare le proprie organizzazioni quotidiane per risignificare le azioni. Spazio per ridefinire il patto con il nostro corpo oggettivato dal comportamento disfunzionale. Palcoscenico per riaffermare l’unicità con il corpo.
Il racconto del proprio temo
La comunità favorisce il raccontarsi ed il raccontarsi fa si che la persona si riappropri del proprio tempo. Il dolore, il trauma crea una distanza tra noi e le percezioni di noi stessi, la quotidianità nella comunità ci riporta a riavvicinarci al nostro sé. “Darsi il tempo” spesso la paura “di perdere il tempo” non apre la dimensione dello stare nel presente attenti a se stessi; il tempo della cura è un tempo individuale non il tempo del dovere.
Riappropriarsi degli oggetti
La comunità ricolloca il consumo delle cose nella dimensione del bisogno effettivo dando senso all’uso degli oggetti. Le modalità dei consumi determina una stratificazione sociale dando un significato simbolico all’oggetto, il quale diventa indicatore di categorie e quindi di appartenenza.
Gli oggetti sono una ponte tra il mondo interno ed il mondo esterno in questa ottica gli oggetti negli spazi della comunità concorrono a risignificare nella quotidianità il senso di essere.
L’attività terapeutica viene centrata non sul dire, ma sul fare, sul condividere le esperienze di tutti i giorni, sul valorizzare interazioni, gesti e riti nell’ambito della reciprocità.
Nelle attività giornaliere, nelle attività di studio o di lavoro e tempo libero agisce la funzione psicopedagogica della riabilitazione inserita nella concettualizzazione della salute come costruzione sociale. La comunità è lo strumento principale terapeutico per la cura d’ambiente in una programmazione sociale designata consapevolmente, dove i processi sociali e gruppali sono sfruttati per fini terapeutici.
Una definizione
“un luogo organizzato come una comunità nella quale ci si aspetta che tutti contribuiscano al raggiungimento di un unico obiettivo condiviso: la creazione di una organizzazione sociale con qualità curative” (rapaport 1960)
“un ambiente ed un programma sociale disegnati consapevolmente dove i processi sociali e grippali sono sfruttati per fini terapeutici. Nella comunità terapeutica la comunità è lo strumento terapeutico principale” (Jeff Roberts 1997)
“il meccanismo centrale del cambiamento non è difficile da spiegare. La CT offre un ampio ventaglio di situazioni di vita normale in cui le difficoltà che un membro della comunità ha vissuto nell’esporsi agli altri, al di fuori della CT, sono rivissute in CT, con tutte le opportunità di esaminare ed apprendere dalle stesse difficoltà, negli ambiti terapeutici dei gruppi e negli incontri in comunità. (Kennard 2000)
La comunità non ha come meta le guarigioni mutuate dal modello medico, ma il cambiamento cioè il rafforzamento delle parti residuali non patologiche. S’impara a stare meno mala a fare meno male, s’impara a vivere meglio.
differenze tra modello medico e modello non medico:
1-il modello medico mira alla guarigione della malatia, tende a ripristinare lo status quo ante,non si occupa delle parti sane, richiede collaborazione passiva con il malato.
2-il modello non medico mira al cambiamento della personalità,offre nuova chance di maturazione,si occupa delle parti sane,richiede collaborazione ativa del malato.


Maurizio mattioni marchetti

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