News

26.12.2009
Stare bene è innanzitutto educazione, buon Natale
Dott. Maurizio Mattioni Marchetti

Sull’educazione e la salute

Sull’educazione e la salute
L’impulso creativo è passione e non da dipendenza in quanto si riferisce al “fare” e non all’”avere”. Il mondo educa le persone, e una educazione consapevole significa agire una selezione delle cose del mondo.
I fatti sono realtà e la fedeltà alle visioni del mondo rispetto al proprio pensiero sono la componente ideologica, in questo contesto diventa fondamentale l’obiettivo a cui si tende nell’interpretare i fatti.
In questa situazione può essere di aiuto l’accettazione dell’altro, della diversità, nella comune scoperta. In una base comune in cui la visione del mondo sia orientata ad una responsabilità verso il bene collettivo. Il credere ad una visione del mondo è importante, ma più importane è il “come”, perché è il come che guida le azioni. Il lavoro educativo è un guidare alla realtà e alla realizzazione. Un uomo deve sapere distinguere tra apparenza e realtà, scegliere la realtà e farla propria indipendentemente dalla visione del mondo che abbia scelto. Educarsi a prendere sul serio la propria visione del mondo partendo dall’autenticità del suo fondamento e orientandosi alla verità dell’obiettivo.

L’esperienza della comunità terapeutica è riportare le persone ad un “come”vivere l’umanità di cui siamo fatti, la comunità è riformulare una visione del mondo che sia adatta ai bisogni umani nella responsabilità verso gli altri esseri e verso la realtà. Per raggiungere questo obiettivo le esperienze sono molteplici, basta semplicemente mettere in comunicazione realtà diverse: il sapere della cucina, il sapere della musica, il sapere dell’organizzazione, il sapere di come essere nelle attività di gruppo, il sapere delle emozioni. La comunità non è qualcosa fuori dal mondo è il mondo. Vivere è il sapere del gestire le proprie emozioni nel “come “stare nel mondo.
Lo spazio della comunità terapeutica è composizione e costruzione della nostra visione di quello specifico spazio. La comunità come luogo da abitare dove le cose e le stanze acquisiscono un senso per le persone e accompagnano i gesti del vivere accogliendo le fatiche del dolore dell’essere. I luoghi della comunità si modellano utopicamente per ogni persona nella ricerca di quella dimensione terapeutica ideale per intraprendere un percorso riabilitativo.

Una testimonianza: Dal diario di Piero:
”Nelle mie innumerevoli scorribande tra un bicchiere e l’altro per sopire il senso di colpa di essere sempre “fatto”, cerco nella immagine di me stesso quella che più tranquillizza la mia coscienza. Di fatto sfuggo a tutto e a tutti tenendomi alla larga da ogni compromissione emotiva con esseri ed eventi. La morte o la sua immagine romantica diventa fedele compagna come ultimo limite verso il nulla e aiuta a costruire una vita di menzogna.
Si mente sempre come principio, non c’è una via di mezzo, una volta innescato il meccanismo non si è più padroni di dominarlo, anzi, ci si trasforma in funzione dei molti aspetti che bisogna assumere, nelle circostanze in cui ci si trova.
Camminando lungo il tempo del mio esistere, cerco di apparire al meglio nelle cose, senza mai appartenere a nulla, perché appartenere significa legarsi emotivamente e questo non permette il mantenimento della menzogna.
Vedo già nel mio futuro il giorno che salterò lo steccato e la menzogna apparterrà solo a me, in quanto il mistero verrà svelato e la categorizzazione farà il suo lavoro, nell’inscatolarti nella tua tribù di appartenenza, allora si diventa veramente soli con altri disperati, ognuno nella sua corsia di assoluta sofferenza.
Dalla mia esperienza, non è mai stato possibile condividere una dipendenza con relazioni d’amore con altri esseri umani, inevitabilmente si insinua la finzione, fino al punto di perdersi nel mare del nulla, dove amica morte accompagna il senso di onnipotenza, nell’essere ostinati contro tutti”.

Testimonianza di un educatore: (tratta da una intervista nella Comunità Kairos di Famiglia Nuova)
…D: Quindi praticamente se non ho capito male voi seguite i pazienti e li accompagnate nel loro percorso. E una curiosità che ho io: le azioni invece un po’più pratiche…
R: Fare questo significa comunque anche dare un’impostazione, dare proprio una struttura alla giornata: può essere l’organizzare la giornata, il controllare che venga fatto quello che si è deciso per la giornata e come viene fatto, intervenire quando questo non viene rispettato, attraverso l’osservazione della dinamica di gruppo che si instaura anche intervenire quando è il caso di farlo, fino a arrivare a livello anche un po’ più pratico, a decisioni rispetto al gruppo, piuttosto che alla persona.
D: Quindi dare delle regole e fare in modo che queste regole vengano rispettate nel rispetto di tutti? E quindi l’operatore che tipo di persona deve essere?
R: Innanzitutto deve essere chiara nel porsi nel rispetto del gruppo, però questo non significa necessariamente che sia indispensabile una rigidità estrema… cioè, fermo restando delle regole base, poi comunque si valuta a seconda delle persone e delle situazioni per cui si possono attuare dei provve-dimenti per una persona proprio diversi da quelli che si fanno per l’altra, l’importante è che la figura dell’educatore sia chiara e… neutra forse è un po’ troppo da dire, comunque.

Link e documenti da scaricare

Galleria Fotografica

 

« indietro